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Guerrieri Gaetano


           
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L’uomo che postava & scappava – 01 - Nascita & primi passi

I
Nacque ventitré, forse anche ventiquattro anni fa.
Per precisione ventitré e mezzo, ventitré e tre quarti per essere precisissimi, quasi pignoli.
Sua madre amava giocare in borsa e, suo padre, al lotto. Perdevano tutti e due come due rubinetti perché non ne azzeccavano una, nemmeno mezza. Però si divertivano, almeno avevano trovato il sistema come passare il tempo.
In quel lunghissimo, noioso e chiassoso febbraio del millenovecentottantuno, c’era molto freddo e tanta neve per strada, ma lui nacque in agosto dell'anno successivo evitando il gelo pungente del vento nella notte tra il dodici e il tredici.
In compenso si beccò in pieno il caldo asfissiante tra il due e il tre, verso le quattro e cinque.
Non pianse né rise e nemmeno commentò quando, nascendo, l'ostetrica lo prese per un piede e lo lasciò, a testa in giù per qualche secondo, a penzolare come un oggetto.
Si guardò solo intorno e, sorridendo sotto i baffi che ancora non aveva ma che avrebbe già avuto solo trent’anni dopo, pensò “Che bell’ambientino e che gente intelligente; a questi nessuno ha spiegato che tenendomi così mi va tutto il sangue alla testa?”.
Fece una smorfia e disse in una lingua che nessuno comprese "Vaffanc ulo, brutta stronza" quando sentì, pochi istanti dopo, lo schiaffo sul culetto che gli ammollò la levatrice. Bestemmiò anche, però solo col pensiero, poi si girò senz’avvisare e , presa la mira, sputò nell’occhio della donna che, per niente arrabbiata, anzi sorridente, continuò a fargli “Ghirighiri” sul pisello.
Era un bambino diverso da tutti gli altri. Tutti, o quasi, se ne accorsero immediatamente.
Già dal primo giorno di vita, invece di succhiare il latte dalle mammelle della mamma, lo mangiava nella tazza, assieme a dei biscotti e una goccia di caffè.
I suoi genitori non dovettero insegnarli niente. Sapeva già tutto; anzi era lui che, quando c’era bisogno, dava loro ottimi consigli.
Fu un ragazzo precoce, tanto precoce che saltò l’asilo e andò direttamente a scuola. Alle medie senza frequentare le elementari. Avrebbe potuto, volendo, anche iscriversi direttamente all'università ma evitò di farlo perché era un ragazzo modesto. Più che altro non voleva dare nell'occhio.
In classe, i compagni, lo chiamavano sapientino perché sapeva tutto. Di tutto e anche di tutti. Persino dei professori, dei bidelli e dei genitori dei suoi compagni.
Fu sempre il primo della classe con tutti dieci sulla pagella, tranne in religione. S’ostinava a sostenere d’essere lui il figlio di Dio e che, a differenza di quell’altro, era stato fatto uomo non per salvare il genere umano ma per affossarlo definitivamente.
A cinque anni, infatti, commise la sua prima rapina.
Rubò la merendina alla sorella più piccola.
Era già sulla buona strada.
A diciotto anni diventò assessore al primo colpo; al secondo lo mancarono, altrimenti ora sarebbe in un cimitero. Aveva negato la licenza a un noto mafioso del posto; gliela aveva rilasciata poi, dietro il pagamento di un’adeguata mazzetta.
Quelli che lo conobbero lo piangono ancora.
Era un tizio del tutto diverso da tutti gli altri e, soprattutto, perché come cantava "Fin che la barca va" lui non la cantava nessuno. Nemmeno Orietta Berti.


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